Un proverbio cinese dice, all’incirca, “Ogni cammino, anche il più lungo, inizia sempre nello stesso modo: con il primo passo”.
Quanti primi passi ho messo…e quanti (spero) ancora ne metterò !
Io aggiungerei però che non esiste un passo uguale all’altro.
Non mi riferisco solo alla lunghezza o alla spinta.
Penso piuttosto, riferendomi a fattori esterni, alla stagione, all’orario, alla situazione climatica.
Ma esistono anche fattori soggettivi : l’età, la stanchezza, la situazione psicofisica, l’entusiasmo.
Ed esiste un elemento che può influire in entrambe le categorie : il tempo che passa.
In buona sostanza ogni passo è tale solamente in quel momento in cui viene messo.
Non ve ne potrà mai essere uno eguale.
Se poi pensiamo che il passo è solo un momento di un processo molto più complesso…allora il discorso si amplia in modo esponenziale. Provo a spiegarmi : il passo è l’atto che permette ai camminatori di spostarsi restando in equilibrio tale da poter apprezzare panorami, profumi e suoni. Qualche volta anche sapori. Sempre, conoscenza.
Lo sviluppo della conoscenza (in questo caso riferita alla cultura del territorio), non mi stancherò mai di ripeterlo, è lo strumento indispensabile per la tutela dell’ambiente che ci circonda. Non può esistere tutela dell’ambiente se alla base non esiste la cultura (e l’apprezzamento) del territorio.
Basta guardarsi intorno per capire che su questo tipo di conoscenza c’è ancora moltissimo da fare.
La suola dello scarpone scricchiolando, scivolando, arrancando sul suolo ci racconta di come si sia formato il luogo dove stiamo camminando; la sensibilità dell’escursionista fa il resto… Spiega il perché è necessario tutelare boschi, montagne, corsi d’acqua.
E’ quasi un riflesso condizionato : mi piace il posto dove cammino = so cosa fare per evitare che possa essere danneggiato.
Tutto questo parte da un passo…un normale, semplicissimo passo.
Ultimamente mi sta accadendo spesso, ad ogni passo, di fare anche un altro tipo di riflessione.
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Camminando verso la cima di Monte Vignola guardavo la Val d’Adige, mi vedevo sovrastare dalla catena del Baldo, individuavo il tratto ripido e pietroso dei Lavini di Marco e pensavo che…
Quella stessa val d’Adige che stavo guardando dall’alto era stata percorsa da Romani, Longobardi, Veneziani, Napoleone… Certo : chi mi aveva preceduto aveva avuto la fortuna di non “godere” della presenza di autostrada, ferrovia o zone industriali, ma è sufficiente alzare lo sguardo per intuire che su quei profili montuosi si sono posati, secoli fa, gli occhi di antichi viaggiatori. Che emozioni avranno provato ? Le stesse che provo io oggi o c’era qualcosa di più “esclusivo” ?
E tornando ancora più indietro nel tempo, guardando il crinale del Baldo, come fai a non pensare a quelle antichissime glaciazioni che non lo hanno interamente coperto, permettendo di tramandare a noi specie botaniche rarissime ?
Guardando i Lavini di Marco ti sembra di scorgere Dante Alighieri che cammina sconvolto da quello sfasciume di rocce tanto da scrivere :
Era lo loco ov’a scender la riva
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’anco,
tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.
Qual è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l’Adice percosse,
o per tremoto o per sostegno manco,
che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:
Guardando meglio nello stesso punto ecco muoversi spaventosi dinosauri che hanno lasciato (come strumento di indagine o come monito ?) numerosissime orme pietrificate.
Tutti loro prima di me.
Il fascino del cammino assume un ulteriore aspetto intrigante.
Non si riesce più a comprendere se stai camminando “dopo” o “con” loro !
La fantasia aiuta certo a sognare e forse a sfuggire ai diabolici meccanismi dei nostri giorni, ma, unita alla passione del camminare, può essere di grande aiuto per comprendere il nostro passato.
…e con quest’ultima considerazione siamo ritornati alla questione della “Cultura del territorio” !
Visto come è facile ?
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Quanti nel passato saranno stati affascinati dal voler scoprire il segreto del volo guardando quell’aquila appena fuori dal Sentiero delle Vipere ? A me è invece sufficiente provare a fotografarla mentre cerca di insegnarlo ai due aquilotti che le svolazzano intorno.
Attraversando la zona di Corna Piana incontro Giovanni Pona fra Rododendri, Pini Mughi, Gigli rossi, Stelle alpine, Raponzoli chiomosi…
E’ il 1617 e Giovanni sta annotando “Monte Baldo in cui si figurano e descriuono molte rare Piante de gli Antichi, da’ Moderni sin’hora non conosciute”
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Il primo passo che metti appena sceso dalla funivia che ti ha risparmiato la lunga e noiosa salita fino al Grostè ti dice che … sarà una giornata molto lunga.
Non esiste infatti un solo punto da percorrere senza fermarsi per ammirare un panorama o un particolare. La fotocamera si riempie di contrasti : azzurro intenso del cielo, bianco spigoloso delle rocce, bianco gelido dei ghiacciai. Qualche timidissimo tentativo erboso vorrebbe partecipare alla festa delle emozioni…ma non è ancora il suo momento.
Ed ecco incontrare i volti dei pionieri di quelle montagne che furono portate all’attenzione del mondo in tempi relativamente recenti (nella prima metà dell’800).
Ecco come ne parlava Murray nel 1837 :
“Alcune (montagne di dolomite) hanno vette slanciate e cime che s’ergono come pinnacoli ed obelischi arditi; mentre altre si estendono in creste seghettate e dentellate, simili alla mandibola irta di zanne di un alligatore. Pareti alte molte migliaia di piedi incombono verticali sulla valle, squarciate da profondi canaloni; esse sono assolutamente brulle, spoglie da ogni vegetazione e hanno per lo più una colorazione giallastra o biancastra. (…) Talvolta assumono la forma di torrioni; in altri casi le guglie sono così numerose , appuntite, sottili e ravvicinate, da poterle paragonare ad un fascio di baionette o di spade…”
Ed ecco poi incontrare in sequenza : Falkner, De tassis, Maestri…Francis Fox Tuckett…
Non è un miraggio: dopo una traversata appagante con piccoli saliscendi …Tuckett lo vedi davvero. E’ il rifugio !
Un vociare insopportabile di un’orda di ragazzini in vacanza appare come un sacrilegio…ma anche da questo cerchi di cogliere l’aspetto positivo (cultura del territorio…ricordi ?). Speriamo !
Durante la discesa riprende la lotta fra il bianco delle rocce ed il verde di larici, faggi e rododendri. Uno sfacciato giglio martagone si esibisce lungo il sentiero. Quando oramai appare chiaro che la lotta è andata a svantaggio della roccia … ecco che un nuovo rivale sfida il verde incontrastato : l’acqua !
Quanti occhi, nei secoli, avranno goduto di questo panorama ? Quante gole secche avranno trovato pace ?
Il vero contrasto non è nei colori, quanto piuttosto tra l’asprezza di questi luoghi e la semplicità con cui si vive ( e, una volta, si sopravviveva !).
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Quanti studiosi di botanica o di geologia sono saliti fin in vetta al Monte Altissimo ?
Li incontri tutti lì; seduti in fila appena sotto la vetta mentre guardano allucinati il tramonto sul lago di Garda. Le nuvole, i profili montuosi (Adamello, Ortles, Brenta ecc.) a Ovest-Nord Ovest assumono lentamente un colorito rossastro, sempre più infuocato fino a spegnersi, improvvisamente, in un buio profondo.
Le luci in fondo contornano il lago dandogli un aspetto “natalizio” .
Lì in fondo c’è Catullo che scrive a Lesbia :
Vìvamùs, mea Lèsbia , àtque amèmus,
rùmorèsque senùm sevèriòrum
òmnes ùnius aèstimèmus àssis .
Sòles òccidere èt redìre pòssunt:
nòbis, cùm semel òccidìt brevìs lux
nòx est pèrpetua ùna dòrmiènda .
Dà mi bàsia mìlle, dèinde cèntum,
dèin mille àltera, dèin secùnda cèntum,
dèinde usque àltera mìlle, dèinde cèntum.
Dèin, cum mìlia mùlta fècerìmus,
cònturbàbimus ìlla, nè sciàmus,
àut nequìs malus ìnvidère pòssit,
cùm tantùm sciat èsse bàsiòrum.
Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,
e i rimproveri dei vecchi severi
non stimiamoli tutti neanche un soldo.
Il sole può tramontare e ritornare:
quando cade per sempre la breve luce della vita, noi
dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Dammi mille baci, poi altri cento,
poi altri mille, poi per la seconda volta cento,
poi altri mille ancora, poi cento.
Dopo, quando ne avremo dato migliaia,
confonderemo il conto, per non sapere,
o perché nessun maligno possa invidiarci,
sapendo che esiste un dono così grande di baci.
E accanto ? Salò con la sua storia triste e controversa.
Proprio in quel punto invece scorgi Gabriele D’Annunzio alle prese con i versi per la sua Eleonora e non puoi far a meno di provare impressione per l’ambiente cupo del Vittoriale.
Fra una polenta, una grappa e le tante riflessioni che si affacciano alla mente dell’escursionista ti accorgi appena in tempo che dalle tue spalle si sta levando una palla di fuoco che improvvisamente esplode sui monti e sulla chiesetta del Monte Altissimo ! Il fremito dell’alba, della vita che rinasce ha attirato la mia attenzione … ma migliaia di anni fa, avranno vissuto questo momento con terrore ?
E i camosci che corrono in cresta a meno di cento metri da me sono diretti discendenti di quelli che venivano cacciati fino a qualche anno fa ? Come faccio a spiegar loro che l’arnese con cui li sto puntando è un teleobiettivo Nikon 300 mm e non un fucile da caccia ?
Su quella discesa ripida che porterà alla Val del Parol le nostre mani si sono aggiunte a quelle dei tantissimi che si sono procacciati le pignette del mugo per aromatizzare la grappa. Chissà quante di quelle grappe sono state sorseggiate ( o tracannate ?) durante gelidi inverni, davanti a d un camino in una baita ?
E le nostre grappe … saranno sufficienti per gli amici voraci ?
Mentre i punti interrogativi si accumulano e i passi si moltiplicano lungo la cengia che ci porta a Malga Campo riflettiamo sul fatto che la nostra settimana escursionistica è improvvisamente entrata nella seconda metà !
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La stretta cabinovia che risale da passo Sella verso il rifugio Toni Demetz ci sputa fuori, uno alla volta, su un pianale di legno incastrato fra rocce strapiombanti. Siamo sul Sasso Lungo e il rifugio ci racconta della triste storia che lo ha battezzato. Eccolo il fulmine che quel 17 agosto del 1952 colpisce Toni Demetz e i due turisti che stava accompagnando. Il padre Giovanni sale disperato, fa in tempo a salvare uno dei due turisti e riportarlo a valle. Ritorna su e tristemente rientra con il cadavere del figlio.
La morena ripidissima porta fino al rifugio Vicenza e dopo una lunga e bellissima traversata su stretti sentieri e ripidi ghiaioni ci pare di vedere il grande Emilio Comici arrampicarsi su quelle pareti che furono la sua vita : “Sulla montagna sentiamo la gioia di vivere, la commozione di sentirsi buoni e il sollievo di dimenticare le miserie terrene. Tutto questo perché siamo più vicini al cielo.”
Il rifugio a lui dedicato ha una evidente caratteristica lussuosa e commerciale…tutto il contrario di come dovrebbe essere un semplice ed essenziale rifugio di montagna. Dovrebbe raccontare di fumo e polenta, di semplicità e grappa, di freddo e vita dura…ed invece ha tutta l’aria di spritz, pubblicità di auto, gabinetti futuristici. Sembra quasi di vedere (anche se siamo a luglio) alcune signore impellicciate che mollemente adagiate sulle poltrone, si godono il panorama del Sella mentre i rispettivi mariti e compagni sfoggiano l’ultimo Rolex. Per fortuna lo spirito di Emilio Comici sopravvive fra le guglie, le cenge ed i canali innevati !
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Anche una giornata di (apparente) riposo può arricchirsi di passi emozionanti.
Piombare all’improvviso in epoca medioevale visitando Castel Beseno è certamente una sensazione particolare specialmente se una ventina di figuranti sta facendo rivivere i momenti di una giornata di 500 anni fa. Ed ecco, nuovamente, mentre fulmini violentissimi rimbalzano tra il Baldo e il Bondone, ritrovarsi ad immaginare i nostri predecessori che controllavano con attenzione la Piana di Calliano.
I tuoi passi ti possono poi portare in una malga dove, sebbene alcune operazioni siano state modernizzate, si preparano formaggi e salumi con l’antica esperienza e dai sapori inconfo
ndibili. E’ inutile provare a chiedersi come possa essere così profumato quello speck, così delicata quella caciotta con l’erba cipollina…E’ sufficiente ascoltare quei sapori che raccontano di anni di infanzia vissuti in malga, di notti insonni su materassi di foglie secche, di faticosissime mungiture, di camini fumosi, di cagliature.
La spiegazione è solo una : fra gli ingredienti di quei prodotti saporiti ci sono i racconti ed i ricordi di Orazio che continua le esperienze di suo padre. Mettere passione in ciò che si fa (per lavoro o per diletto) aggiunge quel “qualcosa in più” che distingue quel prodotto da un altro.
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Il cupo rimbombo che improvvisamente ti avvolge, non è certamente l’effetto di quel primo passo sulla Strada delle 52 Gallerie sul Pasubio. Arriva da lontano, nello spazio e nel tempo ! Sarà forse un terribile Skoda 305?
“La nebbia ritorna, quando d’improvviso un urlo immenso, angoscioso, terrificante sopraggiunge e si prolunga, si estende e si avvicina, sempre più forte, sempre più rabbioso, crudele, feroce; e mentre l’aria tutta intorno ne trema, e il cuore sospende i suoi battiti e il petto trattiene il respiro, e gli occhi si aprono trasognati al terribile prodigio, l’urlo ha tempo di finire in uno schianto e in un nembo, e dallo schianto e dal nembo si sprigiona un turbine di polvere, di pietre, di ferro, onde l’aria resta a lungo oscurata e una pioggia di in numeri schegge si irradia e discende quasi dolcemente per ampio raggio all’intorno. E’ il 305.”
Così scriveva Luigi Gasparotto il 2 agosto del 1915.
Sarà sembrato strano, leggendo ciò che ho scritto fino ad ora, che non avessi nominato persone ed eventi che hanno condizionato pesantemente la storia, la morfologia e la vita di questi territori : la Grande Guerra.
Era giusto parlarne nelle righe dedicate a questo itinerario che, a detta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è da considerare un dei percorsi escursionistici più pericolosi al mondo. Sicuramente il più pericoloso d’Italia. E’ abbastanza curioso apprenderne le motivazioni : a causa dei tantissimi panorami che si possono ammirare durante il procedere sinuoso ed esposto, può essere causa di perdite di equilibrio. E perdere l’equilibrio in questo posto equivale a non poterlo raccontare.
Un foltissimo gruppo di eterogenei escursionisti sta iniziando la faticosa salita già di prima mattina. Un corteo di camminatori esperti o anche incoscienti alla prima esperienza posa davanti alla gigantografia del battaglione di fanti italiani. I sorrisi di oggi stridono paurosamente con le spalle incurvate di quei poveri ragazzi che andavano incontro alla morte.
E’ un contrasto che ci accompagnerà per l’intero itinerario…e io continuerò a pensare positivamente considerandolo un passaggio obbligatorio della lunga strada della Cultura del Territorio.
Già dopo le prime gallerie basse ed umide il sentiero si inerpica ripido portandoti indietro di un secolo a pensare a giovani ventenni che, strappati ai loro affetti e alle loro terre, salgono tristi e silenziosi. Con scarponi approssimativi, zaini che ti segano le spalle, cappotti inadeguati, fame, fatica, freddo, neve e…gli austriaci che sparano da poca distanza !
Quanta differenza dagli scarponi in goretex con suola vibram, i nostri abbigliamenti tecnici, gli integratori…
Salendo, aumenta sempre più il senso di vertigine. Non penso che sia per i continui affacci strapiombanti, quanto piuttosto al pensiero insistente e devastante di questi nostri giovani predecessori che hanno combattuto per darci la libertà. Con questo non voglio asserire che quella Guerra fu fatta per noi…quanto piuttosto che quei ragazzi ne fossero realmente convinti. Questo pensiero ti sconvolge l’anima fino a provare allucinazioni…
Senti cori lontani che cantano :
“Sulla strada del Monte Pasubio
Bom borombom.
Lenta sale una lunga colonna
Bom borombom.
L’è la marcia di chi non torna
di chi si ferma a morir lassù.
Ma gli Alpini non hanno paura
Bom borombom.
Sulla cima del Monte Pasubio
Bom borombom
Soto i enti che ze ‘na miniera
Bom borombom.
Son gli Alpini che scava e che spera
di tornare a trovar l’amor.
Ma gli Alpini non hanno paura
Bom borombom.
Sulla strada del Monte Pasubio
Bom borombom
è rimasta soltanto una croce
Bom borombom.
Non si sente mai più una voce,
ma solo il vento che bacia i fior.
Ma gli Alpini non hanno paura
Bom borombom, bom borombom,
bomborombà.”
Durante l’assalto con la baionetta fra i due “Denti” ascolti il terrore ed il crepitare delle mitragliatrici.
Tocchi le urla dei feriti e le preghiere alla Mamma o alla Madonna.
“Avanti Savoia !” sono spesso le ultime parole ascoltate prima di essere dilaniati da uno shrapnel, squarciati da una baionetta, centrati da un proiettile, finendo la propria esistenza adagiati come uno straccio su un filo spinato.
In questo inferno di follia, freddo e sangue diventava occasione di tranquillità quella di scorgere un gallo cedrone, di imbattersi in una stella alpina, di sognare la propria masseria sulla Murgia !
Così Eugenio Montale, all’epoca fante in servizio presso Forte Pozzacchio, ricorda luoghi e momenti :
Valmorbia, discorrevano il tuo fondo
fioriti nuvoli di piante agli àsoli.
Nasceva in noi, volti dal cieco caso,
oblio del mondo.
Tacevano gli spari, nel grembo solitario
non dava suono che il Leno roco.
Sbocciava un razzo su lo stelo, fioco
lacrimava nell’aria.
Le notti chiare erano tutte un’alba
e portavano volpi alla mia grotta.
Valmorbia, un nome e ora nella scialba
memoria, terra dove non annotta.
In quello stesso periodo Giuseppe Ungaretti scriveva da un’altra parte del fronte :
“Si sta, come d’autunno, sugli alberi le foglie “.
E chissà cosa pensavano o scrivevano (se mai ne fossero stati capaci) i vari Antonio Palumbo, Antonio Provaroni, Giuseppe Santeramo o Fiorino Morando… Vi state chiedendo chi siano costoro ?
Sono quattro nominativi presi a caso dallo sterminato elenco dei caduti sul Pasubio: Antonio Palumbo di Antonio, nato a Salaparuta il 26 settembre 1883, Capitano di Complemento, morto per ferite da combattimento il 2 luglio 1916. Antonio Provaroni di Berardino, nato a Cantalice il 14 gennaio 1887, Fante, morto per ferite riportate in combattimento il 26 maggio 1918. Giuseppe Santeramo di Michele nato a Ruvo di Puglia il 26 maggio 1898, Fante mitragliere, morto per malattia nell’ospedaletto da campo N° 176 il 7 ottobre 1918. Fiorino Morando di Giovanni Battista nato a Viarigi il 10 marzo 1896, Alpino, morto per ferite riportate in combattimento il 30 ottobre 1916.
Il contrasto fra il terrore di un secolo fa e l’estasi per i panorami di oggi è talmente forte che arriva a disturbare il profondo dell’anima.
Ma, tutto sommato, è il giusto effetto dell’inizio di questo (oramai lungo) discorso: camminare ed immergersi nella natura e nella sua storia vuol dire anche vivere emozioni contrastanti. E se ciò avviene vuol dire che lo spirito escursionistico è vivo. Vivissimo !
La lunga discesa ci anticipa che, fra poco, con un bicchier di vino rosso, anche questa esperienza avrà termine.
I passi si succedono lentamente, quasi a non voler terminare più.
Due camosci liberi e saltellanti che si tengono a debita distanza raccontano invece la gioia di vivere. Quella che non deve mancare mai e che da la spinta per continuare a mettere un primo passo. E poi un altro. Fino a quando mi sarà concesso.
***
Ogni passo è quindi diverso dal precedente.
Forse ha più valore del precedente.
Il dettaglio da tenere bene a mente credo però che sia il seguente : il prossimo passo, il più importante è il tuo.