Era già da un po’ che ci pensavo.
Ci riuscirò ancora ?
La mia dieta è stata sufficiente per potermi permettere simili fatiche ?
Nonostante la tensione emotiva degli ultimi giorni, avrò conservato un minimo di lucidità per poter gestire accuratamente le forze ?
Con questo violentissimo raffreddore fuori stagione riuscirò a respirare bene ?
Ogni volta che negli ultimi giorni si sono succeduti questi (ed altri) interrogativi, l’unica risposta pronta e possibile era : lo scoprirò quando sarò in vetta.
Molto spesso nella vita ci preoccupiamo di quello che potrà accadere, cercando di prevedere ogni possibile variabile. Quasi sempre non andremo mai ad azzeccare quello che succederà veramente.
E quindi, tanto vale, è meglio prendere le precauzioni del caso e poi lanciarsi…come se fosse un salto nel vuoto !
Sulla vetta del Monte Porrara a quota 2137 metri slm c’ ero già stato la bellezza di 26 anni prima e dalla memoria apparivano precisi dettagli di un percorso alquanto nebuloso : una salita ripidissima e noiosa, una cresta affilata come la lama di un coltello e ampi panorami. Ne avevo comunque un ricordo positivo: grandi emozioni, soddisfazioni, lunghi respiri e silenzi irreali.
Le mie gambe, probabilmente, non nutrivano le stesse sensazioni…anzi !
Avevo pensato quindi di ingannarle…invertendo l’itinerario.
Ma di questo ne parleremo dopo.
L’appartamentino che avevamo fortunosamente trovato a Rivisondoli, appariva pulito e confortevole. Appariva, appunto !
Porte che non si chiudevano, depositi impolverati di materiale vario, il solito sciacquone difettoso, alcuni calcinacci sul lenzuolo del mio letto… potrebbe bastare così. Questo non toglie comunque nulla alla bellezza silenziosa di questo borgo in cui le persone parlano sottovoce, le auto si muovono per inerzia, i passi sono felpati e gli uccellini cantano il minimo sindacale.
Sembra di avere dei batuffoli di cotone nelle orecchie ma il tuo stesso respiro ti convince subito del contrario.
Anche la luce si intrufola pigra nelle strette viuzze, giusto per illuminare un portale, una fontana, una ripida gradinata. Una finestra in anticorodal ! E mica una sola ! Credo che il “Signor Anticorodal” abbia trovato in questo paese una gallina dalle uova d’oro ! Questo è uno scempio che Rivisondoli non meritava; mi auguro che qualcuno al più presto decida di porvi rimedio.
A tratti sembra di trovarsi in un paese fantasma. Pochi passanti ci incrociano guardandoci insospettiti. Qualcosa però ci suggerisce di iniziare a pensare alla cena prenotando un tavolo.
Tavolo trovato, ma per puro caso !
Dopo poco tempo ci rendiamo conto che il frastuono ed il caos di bipedi vocianti aveva lasciato le strade del paese per rintanarsi nei ristoranti. Senza voler parafrasare l’inventore della frase successiva, mi sento di dire che il paese è vuoto ma “i ristoranti sono tutti pieni” !!!
Una cena a base di fettuccine ai porcini, arrosticini (siamo in Abruzzo … È obbligatorio !), rosso di Montepulciano e zampognari fuori stagione.
La notte passa in questo silenzio irreale in cui riprendono comunque ad affacciarsi alla mente i miei soliti quesiti. Ma adesso è diverso. E’ un po’ come quando devi sostenere un esame e nei giorni precedenti ti inganni rinviando l’idea del momento. Adesso “quel momento” è fra poche ore…
Dopo una colazione ipercalorica, tracanno l’ennesimo “Vivin-C” con l’augurio che faccia effetto al più presto, sturandomi il naso ed evitando di respirare con la bocca lungo la salita.
Pochi minuti dopo, appena superato il Valico della Forchetta e la Stazione di Palenna, eravamo pronti ad affrontare la ripida salita.
Non ho avuto neppure il tempo di allacciare gli scarponi e riscaldare i muscoli che la salita ha iniziato a tirare. Sembrava quasi volermi sfidare, sperando di ricacciarmi indietro. Ma, si sa, le sfide mi piacciono ed ho deciso di fare la prima sosta solo dopo un’ora quando avevamo già superato la metà del dislivello complessivo.
Il naso era libero, le gambe allegre, l’entusiasmo alle stelle, l’aria frizzante, il panorama superbo.
C’erano tutti gli ingredienti necessari per una escursione da ricordare.
Dopo il primo tratto percorso quasi esclusivamente nel bosco, ora siamo usciti allo scoperto seguendo una stretta traccia che si snoda lungo un crinale abbastanza ampio.
Gli ultimi duecento metri di dislivello hanno un sapore di roccia, luce e calore. Hanno il rumore delle pietre che litigano con i miei scarponi. Hanno la certezza che su quella cima ci saremmo arrivati presto senza alcun problema.
La Croce di vetta ci appare molto prima delle nostre previsioni. Anticipiamo il pranzo di un’oretta.
Un’idea insana ma spaventosamente intrigante inizia a frasi spazio : il programma prevedeva di ritornare indietro sullo stesso sentiero…ma la cresta che si snoda fin sotto il Monte Amaro mi invita a proseguire.
I miei ricordi di 26 anni prima ritornano, prepotenti. Mi sembra di rivivere l’entusiasmo provato tanti anni fa nel percorrere quella bellissima cresta.
E allora la decisione : proseguiamo in direzione di Guado di Coccia e poi pieghiamo verso Campo di Giove. Se non troviamo un Sant’uomo per un passaggio … ci faremo una dozzina di chilometri sull’asfalto per ritornare da Vis (che, per chi non lo sapesse, è il mio pullmino).
Ora io non so se i miei compagni di viaggio nutrano una fiducia smisurata nei miei confronti, siano più avventati di me, abbiano un santo protettore dedicato o una fortuna sfacciata : fatto sta che hanno accettato immediatamente !
Quella cresta sottile si presenta ai nostri occhi in tutta la sua bellezza; il dover prestare attenzione a dove mettere i piedi diventa di importanza secondaria.
L’essenza del fascino della montagna è, quasi, tutto riassunto lì: in uno spazio che va dai piedi agli occhi. Ho detto quasi; infatti mancano le grandi cime innevate che contraddistinguono ad esempio le Dolomiti. Eppure, nascosto fra le nuvole, appena dietro al Morrone, c’è il Gran Sasso. Più in fondo la dorsale dei Sibillini. E qui, davanti ai nostri occhi, la mole del Monte Amaro.
E mentre continuo a camminare con gli occhi, mi accorgo fortunosamente, di essermi infilato in un passaggio estremamente pericoloso. Impossibile no, ma davvero brutto !
Mentre a fatica cerco di effettuare inversione di marcia su questa cengia strettissima, qualcuno ha già individuato un passaggio un po’ più facile sulla sua destra.
Una fitta nuvolaglia sorretta da un vento insistente cerca a più riprese di scavalcare il monte Porrara; la sua cresta resiste imperterrita a queste forze respingendo gli assalti e tagliando accuratamente le estremità delle nuvole. Sembra non aver paura neppure dei rombi prolungati che echeggiano dalle montagne più a sud… e che non lasciano prevedere nulla di buono !
Non ha importanza se c’è qualche saliscendi, le gambe vanno, gli occhi godono e l’anima è in estasi !
Ma tutto ha una fine.
E questa fine coincide con l’inizio della vera discesa. I primi duecento metri in equilibrio su sfasciumi di roccia instabili sono fatti quasi a capofitto.
Un breve riposo a quota 1750 ci consente di studiare meglio le carte…che vorrebbero farci arrivare a Guado di Coccia. Ma io non ci sto ! E la mia memoria ritorna a 26 anni prima e riconosce il punto in cui sono passato pronunciando parole irripetibili !
Qualcuno, intuendo quale fosse la direzione che intendevo prendere, ha provato a dissuadermi : “Provo a salire di lì ?”, “Guarda : più avanti c’è un paletto bianco-rosso”. Sono stato irremovibile. Ho riconosciuto il punto e sapevo anche quello che ci aspettava; ma quella era la soluzione più rapida.
Siamo scesi a rotta di collo su una pista da sci ; nera, ovviamente.
Ripida, sassosa, brutta come poche.
E siccome non era ancora sufficiente, abbiamo poi continuato su una pista blu.
Quando le ginocchia fumavano e le gambe avevano imparato a parlare…le sofferenze avevano avuto termine.
All’interno di un campetto di un enorme residence apparentemente semi abbandonato, ci è apparsa una fontana di acqua fresca. Poco importava se fosse potabile o meno in quanto le nostre riserve si erano esaurite da tempo.
Dopo qualche centinaio di metri eravamo sulla strada asfaltata che ci avrebbe ricondotto al punto di partenza: altri 12 chilometri, circa.
Avevamo camminato già per 12 chilometri superando circa 1000 metri di dislivello in altezza e 1150 in discesa.
Ho capito che se avessi voluto salvare la mia immagine (ma forse anche la mia incolumità) avrei dovuto far qualcosa per evitare questo inutile martirio suppletivo.
DOVEVO trovare qualcuno per un passaggio in auto.
Mi sono piazzato al centro della strada nella speranza di incontrare il Sant’uomo cui accennavo prima. Pochi secondi dopo il miracolo si è compiuto.
La prima auto che è transitata mi ha accettato a bordo per riportarmi alla partenza.
Mezz’ora di auto, un temporale impressionante, i miei compagni di cammino al riparo sotto una tettoia, il sole improvviso. Ma non era ancora finita.
Eravamo immersi in un silenzio impossibile dal giorno prima. Ci faceva forse paura ritornare nel caos senza un minimo adattamento. E quindi…sosta alla stazione di Palena.
Un vecchio trenino, brulicante di passeggeri , aveva improvvisamente turbato la quiete di quel luogo. Caffè, vino, panini, fisarmoniche. Il tutto coordinato da un capotreno che aveva messo in piedi questo progetto su una linea ferroviaria dismessa. Un’idea geniale di come sfruttare risorse per valorizzare il territorio in modo diverso !
Il ritorno a casa è avvenuto in circa quattro ore, e , mentre guidavo, pensavo che i miei quesiti avevano finalmente trovato le risposte che cercavano.
Sentivo pulsare l’orgoglio per ciò che ero riuscito a fare.
Ora, piuttosto, mi chiedevo come si sarebbero comportate le mie gambe il giorno dopo e sopratutto : “Le troverò ancora attaccate al mio corpo al risveglio ?”
Abbiamo incrociato,durante il viaggio, migliaia di forsennati al rientro dal piccolo ponte del 2 giugno. Sembrava che corressero tutti per evitare la fine del mondo, evitando di prestare attenzione ai sorpassi, ai rientri in corsia, alle frenate improvvise…
Guardando quel modo schizofrenico di guidare, non ho potuto fare a meno di pensare : “Ma questi sono pazzi !”
La stessa cosa che avevo pensato 26 anni fa !