Quattro passi nel silenzio

No, questa domenica non è esattamente uguale a tutte le altre !

Sentivo il bisogno disperato di allontanarmi dalle beghe, dalle liti e dalle urla di questa campagna elettorale.

Non sono un qualunquista, per cui il mio dovere di elettore l’ho fatto. Alle 7,30.

Ho provato una sensazione di liberazione quasi che lo scrutinio dei voti si fosse concluso e che il nostro Paese fosse improvvisamente diventato il più felice del mondo…

E’ da un bel pezzo, ovviamente, che non credo più a Cappuccetto Rosso ma godevo della certezza di aver esaurito (almeno per il momento) il mio compito di elettore.

Con animo finalmente più leggero andavo finalmente a disintossicare la mia anima in uno dei posti più selvaggi ed incontaminati che la Murgia mette a disposizione.

Questa voglia di evadere dal frastuono doveva essere davvero forte se ci sono con me altri ventitre camminatori in cerca di pace.

Non importa se il prezzo di questa pace sarebbe stato sudore, fatica, freddo e…stavo per dire “fame” ma alla luce di ciò che è uscito dagli zaini devo ammettere che quella alimentare era una penitenza rimandata a data da destinarsi.

E qualora non fossero state sufficienti le provviste (ma vi garantisco che avrebbero sfamato un battaglione) siamo stati intercettati poco prima di arrivare al punto di partenza da una donna.

Non so, onestamente, se sulle auto qualcuno di noi avesse montato il cartello  “Escursionisti in cerca di emozioni rurali”, fatto sta che ci siamo visti proporre ricotte e formaggi freschissimi. Anzi no: la ricotta era ancora calda.

Acquistare questi prodotti, comunque, non vuol dire procacciarsi del cibo.

L’incontro, la proposta, l’acquisto sono essi stessi un’esperienza.  Il costo (bassissimo…ma non ditelo alla signora…) della ricotta è giustificato dal semplice fatto di aver acquistato un’emozione, un cucchiaio di semplicità, una fetta di pace.

Prima che qualcuno ironizzi  “Ma siete andati a camminare o a mangiare ?”, informo i lettori che appena scesi dalle auto avevamo trovato ciò che cercavamo.

Un silenzio irreale rotto solo dal volo improvviso di una enorme poiana appollaiata su un ramo poco più avanti.  Probabilmente in quel momento il volatile avrà pensato l’esatto contrario ( ecco che sono arrivati i casinisti !) ma in breve, entrambi, avremmo trovato il nostro giusto equilibrio.

La masseria Costarizza è animata da un gregge di pecore che si sposta come una nuvola adagiata sui saliscendi erbosi. Le pecore si muovono simultaneamente – come un sol uomo, diremmo noi bipedi- incuranti della nostra presenza.

Anche il pastore sembra non notarci.

I nostri scarponi iniziano a tastare il terreno e a seguire una traccia sottile, rocciosa ed impervia che si arrampica lungo uno stretto impluvio.

Una sensazione di pace lontana nello spazio e nel tempo.

Un silenzio antico, un sentiero nella storia.

Quanti pastori avranno risalito nei secoli questa pista ?

Quanti pensieri avranno affollato rumorosamente le menti, lungo questa salita ?

Quanto avevo bisogno di questo vuoto così pieno ?

Le pareti rocciose ci affiancano, ripide, regalando una sensazione di protezione.

E il silenzio esplode fragoroso quando appare ai nostri occhi lo Jazzo di Attaviuccio.

Questa struttura adagiata sulle rocce del pianoro, sebbene abbandonata, trasmette ancora vigore.

Racconta di freddi inverni, di vite sofferte, di belati e odore di ovini. Ci dice di quanto ingegnosi fossero i nostri antenati, capaci di estrarre l’acqua dalle pietre. La testimonianza è una enorme cisterna quasi integra che continua imperterrita ad assolvere il compito per cui è stata costruita.

Il mungituro è un 8 perfetto adagiato su un declivio. E’ talmente bello che la mia fotocamera (quella vecchia che ho tirato fuori per farle prendere un po’ d’aria) fa appena in tempo ad immortalarlo prima di salutarmi.

La ripongo nello zaino e da questo momento, nel racconto, cercherò di supplire con le sole parole.

Un vero peccato perchè poco più in là una trentina di garzette stanno becchettando allegramente in un campo.

Anche loro non si curano assolutamente di questa lenta processione di bipedi invadenti e si limitano ad un breve scostamento.

I sentieri riportati sulla carta IGM sono beatamente andati a farsi fottere, grazie ad una opera di spietramento portata avanti con precisione chirurgica.

E allora si va avanti con la sola bussola cercando di individuare l’accesso della Grave di Previticelli.

L’impresa è molto più semplice di quanto potessi pensare perchè la grossa bocca rocciosa della grotta non riesce a nascondersi a sufficienza nella dolina. La lettura della scheda tecnica sconsiglia fantasiose idee di entrata. Sarebbero bastati infatti pochi metri di discesa verticale per dissuadere i più temerari…ed invece i metri sono quasi 110 !

La strada da fare è ancora tanta, per cui ci rimettiamo in cammino.

Il pianoro si estende silenzioso in ogni direzione tanto da rendere irreale ogni passo.

Silenzio, spazio, quiete, per altri due chilometri fino alla Masseria Previticelli.

Finalmente si mangia !

Non faccio in tempo a sedermi che mi passa sotto il naso un profumo, inequivocabile, di polpette fritte.

Un miraggio olfattivo ?

No ! Era solo la prima di una lunga serie di apparizioni culinarie che si sono materializzate magicamente.

La solita domanda inquietante che da anni si ripropone in queste circostanze : “Ma in questi zaini c’è solo cibo ?”.

Il bello è che talvolta qualcuno si lamenta che siano troppo pesanti (dovrebbero farsi un giro con il mio…) ma sono certo che se ogni volta dovessi fare una “ispezione” molti camminatori…non partirebbero !

E’ apparsa anche la ricotta comprata prima della partenza ! Giustamente. Meglio consumarla subito altrimenti può andare a male !

Non possiamo però fare a meno di apprezzare anche quell’angolo di sogno: la masseria è silenziosamente adagiata su un campo già verde. Mostra orgogliosamente le rughe e il passare del tempo che, comunque, non tolgono nulla alla sua semplice bellezza.

Uno specchio infisso sul muro esterno di un piccolo casale rende bene l’idea di una vezzosa signora.

Oppure è messo lì per obbligare chi passa a vedersi inglobato in quella dimensione temporale così lontana e a porsi domande sulla propria esistenza.

Quando questi pericolosi pensieri filosofici iniziano ad affacciarsi, immediatamente esplode una nuova emozione.

Una sterrata lunga, polverosa, dritta tanto da sembrare tracciata con una riga si inarca con dolcissimi saliscendi in direzione sud-ovest. Questo nastro srotolato nel grande pianoro, regala la sensazione dell’infinito. Le enormi distese che la affiancano rimandano il pensiero a lontani deserti o paesaggi lunari. Più di due chilometri vissuti su questa striscia lenta e sottile ci portano verso quella che doveva essere la nostra prossima tappa : Spinale di Porco.

Già ! Ho detto doveva.

Quando già pregustavo la lunga discesa e la visita di altri Jazzi, appare evidente che alcuni del gruppo avevano qualche problemino.

La decisione di cambiare l’itinerario per accorciarlo di qualche chilometro era d’obbligo.

Anche questo fa parte dell’escursionismo. Saper rinunciare anche e soprattutto nel momento in cui un compagno di cammino ha bisogno di aiuto. Sentiero e jazzi restano lì, non si muovono. Si potrà tornare un’altra volta.

“Gruppo” vuol dire anche questo. Se si vogliono evitare queste situazioni, è facile :è sufficiente camminare da soli.

La scorciatoia, in gran parte fuoripista, si presenta molto ripida ed accidentata. La cautela è d’obbligo soprattutto nel momento in cui la stanchezza morde le ginocchia e la sensazione di essere al termine della fatica abbassa la soglia d’attenzione.

Anche questa deviazione offre comunque emozioni e riflessioni. Ad ogni passo.

Anche qui il silenzio rimbalza tra le rocce e ci riaccompagna lentamente al punto da cui siamo partiti.

Il teschio di una capra diventa protagonista di una serie di foto dal sapore vagamente shakespeariano : “To trek or not to trek ? That is the question !”

Io la risposta l’ho già data e sono certo che la conosciate anche voi.

E ora torno in quella gabbia di matti in città e cerco di spiegarlo anche a loro !

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To Trek or not to trek ?                                                                Photo di Michele Lotito

 

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