Non ce la faccio, Non ci riesco.
Quante volte abbiamo sentito queste frasi. Quante volte ce le siamo dette.
Moltissime altre volte sarebbe stato necessario, se non indispensabile, ascoltarle !
Ci siamo impaludati in una società che non conosce il proprio limite e non riconosce la sconfitta.
La possibilità di non farcela viene vissuta come una ignominiosa sconfitta. Un’onta che costringe a nascondersi ed evitare il pubblico ludibrio.
Confrontandoci con le innumerevoli difficoltà che possiamo incontrare lungo un sentiero (senza volersi spingere fino all’ “estremo” destinato a pochi) potremmo invece trovare gli stimoli giusti per riconoscere i nostri limiti …e migliorarli.
Ci sono limiti oggettivi (e questi sono difficilmente migliorabili) e limiti soggettivi.
Questi ultimi possono anche essere relativi a particolari situazioni contingenti : postumi di influenza, situazioni climatiche, sbalzi di pressione, tempo limitato a disposizione.
Poi ci sono i limiti che possono essere migliorati : una migliore forma fisica, una conoscenza di materiali tecnici, una capacità di lettura di cartine e di orientamento…
Non bisogna certamente in questi casi abbandonarsi alla sconfitta ! E’ invece il giusto stimolo per capire come fare per migliorarsi per spingersi … un po’ più oltre !
E’ il caso di ricordare, a tal proposito, una frase illuminante di Seneca :
“Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili.”
E’ la migliore medicina per ritrovare fiducia in se stessi e per sognare “nuove sfide”.
Non ce la faccio…credo di aver pensato quando stamattina è suonata la sveglia alle 5,15.
Credo però che si sia trattato di un istante perchè l’attimo seguente ero già a bere un caffè.
Il silenzio della casa contrastava in modo impressionante con il frastuono che faceva il mio cervello pensando a quello che avrei dovuto fare per evitare sorprese e rotture di scatole.
Probabilmente ho pensato di non farcela anche quando ho caricato la zaino in auto e mi sembrava notevolmente più pesante del solito. Ma era, appunto, solamente una sensazione.
Il Pollino è tanto vicino, ma al tempo stesso anche molto lontano; “cavoli” non ce ne vogliono: ci sono tre ore di auto da sciropparsi.
Con la neve sembra ancora più lontano ! Sui tornanti che da Casa del Conte salgono al Lago Duglia speri sempre di non trovare un lastrone di ghiaccio nascosto.
Comunque stamattina, complice una gara regionale di sci da fondo, la strada è più pulita del solito.
Anzi…forse è troppo ingombra di auto che non hanno evidentemente mai conosciuto un fondo innevato !
Anche il parcheggio nei pressi delle piste di Piano della Giumenta (o Piano di Iumento come riportato su cartina IGM 1: 25000) è insolitamente gremito.
Le operazioni della truppa per calzare le ciaspole portano sempre via qualche minuto in più e, fino al momento in cui ognuno non ha trovato la giusta regolazione, fioccano imprecazioni.
La neve è davvero tanta ! Se è tanta qui sotto…non oso pensare a ciò che troveremo ai quasi 2000 metri della Grande Porta !
Prima di poter pensare “non ce la faccio” partiamo con passo deciso sulla prima salita.
La neve funziona da stimolante e sembra quasi più facile che salire con fondo asciutto.
Ma anche questa è solo un ‘impressione ! La fatica si farà certamente sentire.
Ringraziamo un ignoto escursionista che ci ha preceduti sulla pista aprendoci un comodo varco nella neve. Procediamo comodamente con andatura caracollante. Guardarci camminare in fila ed in quel modo richiama alla mente una processione di papere !
Lo spettacolo che si apre sul Sirino, sul Monte Alpi, sul Raparo e poi, sull’altro versante, sulla Falconara, sulla Timpa di San Lorenzo e sulla Cresta dell’infinito è unico. Se non fosse che la voglia di arrivare in vetta è molto forte, ci si potrebbe accontentare dei panorami fin qui visti.
Entriamo nel bosco di faggi ed abeti procedendo fiduciosi sulla pista già aperta. Fino ad un certo punto !
L’ignoto escursionista doveva evidentemente essersi stancato e sul più bello è ritornato sui suoi passi.
Ci ha lasciato un bel sentiero vergine ! Bello, bellissimo da fotografare.
Quando mi sono reso conto che sarebbe toccato a me “l’onore” di aprire la pista, non ho fatto neppure in tempo a pensare “non ce la faccio”.
Avevo già messo una ciaspola davanti all’altra distruggendo il capolavoro creato da Madre Natura e sprofondando in modo impressionante nella neve.
Per evitare distorsioni e per aprire più comodamente (per gli altri) la pista ho dovuto procedere in modo innaturale in posizione tipo “spazzaneve”.
Lo sforzo è stato notevole, l’affanno cresceva, le gambe reclamavano. All’improvviso ho avvertito anche delle fitte alle ginocchia…erano i tendini ed i legamenti che dicevano “non ce la faccio !”.
Avevo percorso in quel modo già un bel po’ di strada e, quando stavo per dire “non ce la faccio”, abbiamo incrociato il sentiero 950 che dal Lago Duglia sale alla Grande Porta.
Per fortuna anche qui c’era già passato qualcuno e la salita, che da quel punto comincia a chiedere ai garretti una maggiore spinta, si attorcigliava fra i faggi, neve e rocce.
L’ultimo ripido tratto ha fatto dimenticare la fatica perchè la nostra meta era oramai a vista.
Ci siamo fermati in quella sella ai piedi della Serra delle Ciavole.
Era come se la montagna ci avesse preso sul palmo della sua mano tenendoci al sicuro.
Come si può descrivere la distesa di neve che ci ha accolti ?
I pini loricati si ergevano fieri incuranti del gelo.
Sembrava che anche il respiro potesse ghiacciarsi da un momento all’altro.
Una visita d’obbligo a Zi’ Peppe (pino loricato, simbolo del Parco, incendiato da idioti) … ci fa rendere conto che il vecchio amico dorme sotto una coperta di almeno due metri di neve.
Solo le sue estremità fuoriescono.
Un salto al Giardino degli Dei … chi non c’è mai stato deve accontentarsi del nome che rende in modo perfetto la bellezza magica di questo posto.
Mentre guardavo le vette del Pollino e del Dolcedorme parzialmente nascoste dai pini loricati posti sul profilo del piano mi sono venute in mente le parole di Walter Bonatti :
“Chi più alto sale, più lontano vede. Chi più lontano vede, più a lungo sogna”.
E probabilmente stavo proprio sognando perchè, nonostante la situazione climatica non proprio idonea, provavo una sensazione di benessere.
Un appagamento totale. Il giusto premio per la fatica della salita. L’essenza della bellezza.
La discesa è stata più lenta del previsto; non so se motivata dall’acciacco di qualche partecipante o dalla istintiva volontà di rendere interminabile quell’emozione.
Fatto sta che l’ultimo tratto ci ha visti immersi nel tramonto e poi nel primo buio.
La luce del rifugio poco più in basso ci ha regalato una nuova sensazione: la tranquillità di poter trovare a breve un posto caldo.
Il calore non è solo una situazione fisica, ma anche mentale. E quel rifugio ci ha riscaldati “dentro” con l’accoglienza dei gestori e con la sensazione di lontananza dalle follie umane.
Beghe, liti, urla, problemi creati ad arte, invidie, gelosie, crimini, odiose furbizie…basta così. Rischierei di rovinare l’atmosfera che spero di aver creato con queste righe.
Ebbene : io non ce la faccio. Io non ci riesco ad affrontare una nuova settimana di lotta con quelle follie se non dopo una così grande emozione.
Io non ce la faccio … se non penso che, appena posso, una giornata come questa posso riviverla.
bellissimo!!!!
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