…ma ogni anno, da più di quaranta, arriva un periodo estivo in cui riempio un borsone ed uno zaino per vivere un certo periodo di tempo immerso in un mondo diverso da quello in cui sono nato.
C’è un monte, o meglio una catena montuosa, costruito dal tempo per tenere separate la Val d’Adige dal Lago di Garda : il Monte Baldo.
Ci sono libri, trattati e pubblicazioni che parlano delle sue peculiarità naturalistiche, scientifiche, storiche, gastronomiche… e quindi non è di questo che parlerò !
Preparare i bagagli per questo viaggio è quasi un rito sacerdotale.
“Questa maglia la indosserò il tale giorno, la giacca a vento mi servirà quella notte…” e così via.
La cosa incredibile è che l’entusiasmo e l’attesa si confondono nella stessa misura e maniera da oltre quaranta anni !
Ritornare alle Mosee per me è rivivere un’intera esistenza. ,
Tutto lì intorno mi parla del tempo che è andato e di quello che verrà.
Incontro mio padre e lo ascolto mentre cammino in silenzio; è come se non fosse andato velocemente via già da tanti anni.
Incontro vecchi amori e vecchi amici. Tutti : quelli veri e quelli falsi.
Incontro volti che tornano imperterriti alle Mosee e quelli che non vogliono o non possono tornarci più.
Volti piacevoli (molti) o odiosi (per fortuna pochi).
Non ha importanza che siano vivi o morti; tutto si amalgama come in un caleidoscopio.
E non riesci più a capire cosa sia il presente, cosa il passato. Che cosa il futuro.
Tutti gli ingredienti ed i protagonisti coesistono con grande naturalezza.
Appena arrivato esplode una sensazione di pace interiore che si traduce dopo alcuni istanti in un fremito irresistibile: quello di calzare i miei scarponi e camminare.
Nonostante io ritenga di conoscere questi luoghi quasi meglio delle mie tasche, ho approntato da tempo le cartine delle zone dove passeranno le mie suole.
Un calendario escursionistico che ingolosisce i palati più fini: infatti ogni anno c’è sempre gente che sale sul Baldo per camminare con me.
La mia casa diventa un rifugio per chi ha voglia di vivere il Baldo e tanti monti limitrofi.
Forse non lo sai…
ma il primo giorno è sempre poca la voglia di rimettersi in auto per l’avvicinamento al punto di partenza.
La scelta quindi ricade sempre su itinerari vicini e già ampiamente testati.
C’è però sempre qualcosa di nuovo da vedere: un fiore, una luce particolare per le foto, una accentuata nitidezza. Oppure c’è qualcuno a cui raccontare le vicende di questa montagna.
Quest’anno con me c’è Mirko, quattordici anni e tanta esuberanza. Ovviamente è un eufemismo ! Avrò certamente bisogno di un mese di ferie per riprendermi da questa esperienza; sono convinto però che potrà trovare grande interesse in questa filosofia di vita. Ci si consola pensando che è nell’età dell’ “adolesce-me-nza” e gli si perdona tutto. O quasi !
Il Corno della Paura è arroccato su uno sperone roccioso a sentinella della Val d’Adige. I resti di quello che fu un campo militare si nascondono dagli occhi del nemico.
Diverse centinaia di metri sotto di me scorre silenzioso l’Adige e sono circondato da bellezze naturali che una volta furono il terrore di soldati improvvisati : i Lessini, Monte Carega, Il Pasubio, Passo Buole, Monte Zugna, le bianche vette a nord e poi il Monte Stivo, il Brenta, il Monte Altissimo, le Colme di Malcesine e le cinque cime.
I passi si moltiplicano sulla strada costruita per raggiungere cima Vignola e i resti dell’omonimo forte austriaco abbandonato repentinamente all’inizio della Grande Guerra.
Cima Vignola ha una altezza modesta ma l’escursionista si sente appagato da quel panorama a 360°: non ci si stanca mai di guardarsi intorno e poi di ricominciare !
Questa sensazione di pace doveva essere ben diversa un secolo prima !
Mi chiedo con che spirito ci si guardasse intorno e quanto facesse sprofondare nell’abisso dell’anima il terrore dei combattimenti sul passo Buole, lì di fronte a me !
Il volo di un bombo mi riporta ai giorni nostri e consiglia di incamminarci per il ritorno.
Forse non lo sai…
ma quando la roccia si fonde con il cielo ci si sente posseduti da un senso di bellezza difficilmente descrivibile.
Qualcuno ha detto che ci si sente più vicini a Dio.
Eppure… cosa ci sarà di bello in queste rocce fredde che si innalzano potenti dinanzi ai miei occhi ?
Mi accorgo che tutto ciò che vedevo lontano è invece lì a portata di mano !
Gli sfasciumi, le pietraie, il ghiaccio eterno (fino a quando ?) spiegano che la vita qui ad oltre 2400 metri può essere molto dura.
Ci si rende conto di quanto si sia piccoli ed impotenti dinanzi a tanta forza.
Sarebbe bene anche comprendere che il rispetto della natura dovrebbe nascere da qui, dalle alte quote. La rabbia incontrollata del Brenta potrebbe, in pochi istanti, trasformarti in nulla.
Qui gli errori si pagano; il conto può essere anche molto salato !
I passi vanno calcolati e la vera abilità è quella di non farsi ammaliare dalla bellezza dei luoghi rinunciando alla giusta concentrazione.
Il Grostè è oramai alle nostre spalle e la traccia che porta al rifugio Tukett sembra invitarci ad ogni passo che muoviamo.
Ogni angolo, ogni scorcio pare essere la scusa per fermarsi a scattare una foto.
Non è così ! Il vero motivo è che vorresti che quel sentiero non finisse mai ; ti accorgi di essere un tutt’uno con la roccia, il cielo, il ghiaccio lontano, i boschi (ancora più lontani) e che non lasceresti mai terminare una sensazione così.
A richiamare la tua attenzione sulla realtà sono i tendini, i muscoli ed i piedi che stanno pagando il conto di questa allucinazione.
Quando appare il rifugio Tukett ho una sensazione iniziale di fastidio anche per la folta popolazione salita da Casinei.
Mi allontano verso la chiesetta isolata : sento di rivolgere una preghiera al Signore delle cime per la mamma di un caro amico volata via proprio quella mattina. Mi scopro circondato da foto di volti semplici: giovani e anziani mai soli su questa montagna. Un rosario, un legno inciso, una bandana. Sotto quelle assi e quella croce ci sono i sogni spezzati di tanta gente.
Sono ricordi avvolti da una serenità silenziosa che rasenta l’immortalità.
E mentre i miei pensieri sono rapiti da queste riflessioni d’alta quota, vedo con la coda dell’occhio qualcosa muoversi sul ghiacciaio sulla Sella. La passione per la montagna di due escursionisti sulle residue nevi della Bocca di Tukett mi riporta rapidamente alla realtà e…alla strada che ci aspetta per rientrare.
Il blu del cielo ed il bianco della roccia lasciano lentamente spazio al verde della mugheta ed al rosa dei rododendri. E poi, ancor più giù, scendendo rapidamente, prendono il sopravvento il verde scuro e l’ombra del bosco di faggi ed abeti bianchi.
So bene che quell’alternanza di colori, ambiente e vita non finirà lì !
Poco più avanti, anticipata dall’inconfondibile borbottio, l’acqua sta per farla da padrona.
Sono dapprima timidi ruscelletti che si ingrossano sempre più fino a trasformarsi in fragorose cascate.
Quanto più forte è il rumore dell’acqua tanto più ripido è il sentiero su cui si destreggiano i miei poveri piedi. Sento che, se avessero avuto la possibilità di parlare, mi avrebbero riempito di bestemmie.
Sono comunque certo che un violento getto di acqua gelida ed una notte di meritato riposo mi riconcilieranno con loro.
Forse non lo sai…
ma sono salito su questo monte una infinità di volte. Ogni volta è come se fosse la prima. Non mi interessa sapere in quanto tempo arriverò al rifugio Damiano Chiesa; sono più attratto dallo scoprire uno scorcio nuovo, una angolazione particolare, un gioco di luci prima del tramonto.
La salita è comunque relativamente breve e quindi c’è tutto il tempo per rendere omaggio a sua maestà : il lago di Garda.
Poco dopo la vetta ti accorgi che è lì, steso ai tuoi piedi.
L’immancabile (o quasi) foschia generata dal caldo della bassa quota cerca di nascondere, senza riuscirci, i paesi ed i contorni.
E’ ben visibile Riva del Garda; un po’ più offuscata c’è, dall’altra parte, Sirmione.
Il brulicare di turisti sudati, l’odore di improbabili fritture, il ritmo battente di un ignoto musicista sono solo alcuni degli ingredienti che, da qui sopra, sembrano essere davvero impossibili. Eppure lì sotto esistono. A migliaia !
Non mi vergogno di provare la soddisfazione di essere invece immerso fra profumi, silenzi ed aria fresca. Mi sembra di vedere le facce sofferenti dei turisti lacustri schiattare di invidia.
Ma io continuo a provare un senso di sano egoismo !
Dopo una lauta cena in rifugio i miei piedi mi trascinano nuovamente su quel punto dominante per catturare con la mia Nikon gli ultimi bagliori del giorno e, contemporaneamente il buio della notte.
Poco tempo dopo il lago si incendia in un brulicare di luci. Lontane.
So già che all’alba sarò di nuovo qui per guardare negli occhi il nuovo giorno che nasce e cogliere la sensazione di silenzio che, finalmente, sale anche dal lago.
Forse non lo sai..
ma quel 19 luglio il mare era piuttosto mosso. Anzi no: era proprio agitato.
Tanino teneva con maestria la sua imbarcazione che ci portava da Scario fino al Vallone di Marcellino. La costa del Cilento sa essere molto accattivante ma anche molto severa con chi pensa di arrivare a quella baia per mezzo di sentieri.
E’ certamente più riposante arrivarci via mare. Quando non è incazzato !
Un giovane uomo ed il suo sigaro guardano la costa incuranti del dondolio.
Una giovane donna, bianca come un lenzuolo, è accasciata su una scomoda panchina del barcone.
“Ti senti male ?” è l’infelice approccio.
“Tu che dici ?” è la risposta scontata della povera sventurata che era anche riuscita a sollevare un occhio per guardare in faccia il genio che le aveva fatto quella domanda.
Il vero quesito è : se l’approccio fosse stato più galante e la risposta meno gelida, quella giovane donna sarebbe mai diventata mia moglie ?
Era questo che pensavo, esattamente venti anni dopo l’accaduto, mentre scendevo sul sentiero ripido e sassoso che dal Monte Altissimo si immerge nella Val del Parol.
Anche quel giorno Carmela soffriva, non per il mal di mare (ovviamente) ma per la discesa che stava impietosamente mettendo alla prova i tendini ed il suo malleolo martoriato.
Il verde della bassa vegetazione, il silenzio che si taglia a fette, la brezza fresca, il fischio d’allarme di una marmotta: ecco gli ingredienti della vera medicina naturale.
Solo così si può sopportare dolore e fatica; l’escursionista lo sa bene. Sarebbe innaturale e oggetto di studi scientifici se si decidesse di affrontare questi sacrifici senza un valido tornaconto !
Il capriccio irritante di una bimba trascinata sui monti dal padre per una passeggiata evidentemente poco gradita, ci fa alzare il passo. Appena dentro una conca protetta, un pellicciotto pasciuto si sposta goffo annusando l’aria. Non ci sente perchè il vento spira nel senso opposto, ma certamente quella marmotta si è accorta degli intrusi. Togliamo il disturbo e continuiamo il nostro cammino. Dopo una breve salita spuntiamo sul Monticello. Con l’attenzione dovuta percorriamo il paio di chilometri sullo stretto sentiero che si tiene in precario equilibrio al bordo della ripidissima scarpata.
Il cuore ti chiede di alzare lo sguardo e di godere il panorama.
Il cervello ti impone di tenere attenti gli occhi su dove posi il piede.
L’anima dell’escursionista trova il giusto punto di equilibrio (e su questo sentiero ce ne vuole abbastanza) : riempie il cuore di sensazioni e conduce indenne il camminatore in un posto sicuro. Malga Campo.
Se sei in una malga devi assaggiare il loro prodotto.
Non è la stessa cosa che comprarlo e mangiarlo poi a casa.
Devi guardare le montagne, lasciarti accarezzare dal vento fresco, apprezzare il profumo delle vicine vacche ed assaggiare quel pezzo di formaggio.
Un sorso di acqua fresca ed il quadro è completo.
Forse non lo sai…
ma salendo da Pian delle Fugazze verso la Zona Sacra del Pasubio, nel silenzio del bosco senti ancora riecheggiare i canti dei giovani soldati che andavano a morire in un posto sconosciuto, per una patria sconosciuta e per motivi sconosciuti.
Sulla strada del Monte Pasubio
bom borombom bom bom borombom
lenta sale una lunga colonna
bom borombom bom bom borombom.
L’è la marcia de chi non torna
de chi se ferma a morir lassù.
Ma gli alpini non hanno paura
bom borombom bom bom borombom.
Sulla cima del Monte Pasubio
bom borombom bom bom borombom
soto i denti ghe sè ’na miniera
bom borombom bom bom borombom.
Sè i alpini che scava e spera
de ritornare a trovar l’amor.
Ma gli alpini non hanno paura
bom borombom bom bom borombom.
Sulla strada del Monte Pasubio
bom borombom bom bom borombom
sè rimasta soltanto ’na crose
bom borombom bom bom borombom.
No se sente mai più ’na vose,
ma solo el vento che basa i fior.
Ma gli alpini non hanno paura
bom borombom bom bom borombà.
Ricordo ancora la prima volta che sono salito alla Zona Sacra molti anni fa. Avevo preparato l’escursione con una cura maniacale. Si presentava lunga, faticosa e non priva di insidie.
La voglia di salire lassù per vedere con i miei occhi ciò che avevo, fino ad allora, solamente letto era incontrollabile.
Quella voglia fu un combustibile potentissimo : dopo la salita alla zona Sacra continuammo fino a Cima Palon e al Dente Italiano per poi scendere a Bocchetta Campiglia dal sentiero delle 52 Gallerie.
Se chiudo gli occhi, ancora oggi riesco a rivedere e rivivere le emozioni di quella giornata.
Ricordo anche che feci quella salita con un vuoto vertiginoso nel mio cuore.
Oggi, dopo tanti anni, ritorno a salire su quel sentiero lungo, largo e comodo.
Quel vuoto non c’è più.
Serena è a pochi passi dietro di me e sta salendo senza fatica e con un ritmo costante.
E’ proprio lunga la salita fino alla Galleria d’Havet ! Come mi è successo le altre volte, appena oltrepassata la galleria, sembra che il clima cambi.
Tutto diventa più scuro, freddo.
Ed ecco che ritorni a sentire i canti degli alpini che salgono alle baracche.
Oggi lì, dove c’erano le baracche, c’è il Rifugio Papa.
E’ inevitabile riflettere sul fatto che siamo saliti con una certa fatica fino a quel punto; avevamo però scarponi comodi, zaini imbottiti ed abiti idonei.
Avevamo scelto una bella giornata d’estate e, scusate se è poco, non andavamo incontro agli austriaci che volevano farci la pelle.
C’è una bella differenza.
Superiamo il rifugio per entrare poco dopo nella zona sacra.
Non c’è nulla da fare, per me è istintivo. Mi tolgo il cappello e faccio il segno della Croce.
Non c’è quasi nulla che ricordi gli avvenimenti di un secolo prima, ma ho l’impressione di entrare in una Cattedrale. Prego.
Restiamo in silenzio.
Chiudo gli occhi.
Sento nuovamente gli alpini. Ma stavolta è diverso.
Non cantano.
Giunge ben distinto l’eco delle urla strazianti dei feriti, del crepitio delle mitragliatrici, delle esplosioni dei colpi che partono e che arrivano.
Si riescono a sentire ancora i passi frettolosi sui sassi di chi accorre in prima linea o di chi si avventura a dare soccorso a quei poveri sventurati.
Comprendi anche che non si tratta solo di alpini. Li ci sono anche semplici fanti che non sapevano neppure che esistesse quella terra.
Salgono potenti imprecazioni nei dialetti più disparati : dal veneto al siciliano.
Non comprendi bene le loro preghiere ma sei certo che stiano chiamando la mamma o supplicando la Madonna.
Senti sulla pelle la paura della morte.
Quella morte che viene a prenderti in un istante a così tanta distanza dalla tua casa e dai tuoi affetti.
Il sangue versato su quelle rocce è quasi tutto di contadini e di pastori.
Le guerre, sempre, le vogliono i potenti ma le combattono i poveri Cristi.
Sembra quasi di sentirlo, Cadorna, mentre dà ordini di sacrificare centinaia di fanti (spesso meridionali) in assalti folli ed inutili.
Improvvisamente apro gli occhi e tutto magicamente svanisce.
Pare impossibile che in quel paradiso di silenzio e pace sia potuto accadere tutto ciò !
Anche Mirko tace, insolitamente, e sembra che abbia ascoltato anche lui quelle voci.
Mangiamo un panino in compagnia di alcuni corvi. Un caffè al rifugio e ritorniamo sui nostri passi.
Il ritorno appare ancora più lungo dell’andata forse perchè ci accompagnano ancora quelle voci.
Una nutrita famiglia di stelle alpine abbarbicate su una roccia ci distrae e ci riporta al tempo d’oggi.
La fantasia non costa nulla e aiuta a vivere meglio.
Partendo in auto ho l’impressione di scorgere un giovane soldato in divisa grigioverde che agitando il braccio mi chiede di salutare la sua masseria sulla Murgia.
Forse non lo sai…
ma su quella cresta stretta e sassosa crescono in silenzio le stelle alpine e cercano la solitudine i camosci.
Da Prà Alpesina risali fin sul crinale e ti trovi in un altro mondo.
Quando inizi a camminare verso sud ti accorgi che dalla funivia che sale da Malcesine sono sbarcati numerosi turisti lacustri che, pensando evidentemente di essere a Gardaland, si avventurano con improbabili attrezzature su un sentiero che richiede comunque passo sicuro.
Mentre salgo fra pini mughi, rododendri e stelle alpine mi rendo conto che mia figlia Serena procede con buona lena. Quando, le prime volte, mi accompagnava in escursione pensavo che lo facesse per accontentarmi.
Oggi, guardandola bene su queste rocce da equilibristi, posso dire che la mia passione è diventata anche la sua.
Per me è ovviamente un motivo di orgoglio, ma non perchè i genitori, come si dice, vogliono imporre i propri obiettivi ai figli.
Credo invece che camminare nella natura sia una filosofia di vita che ti porta ad apprezzare le semplici cose, che ti abitua a superare le difficoltà, che ti incita a sognare, che ti insegna a leggere diversamente la storia e la geografia.
Su questi pilastri ognuno può poi costruire la vita che desidera.
La morena che scende prepotente tra Cima Pozzette e la Cima del Longino ci dice che il tempo è poco e che per oggi può bastare.
Cima Valdritta, facendo capolino, prova a convincerci che potremmo continuare.
Il mio orologio e le ginocchia dei partecipanti dicono invece il contrario.
La discesa si presenta più faticosa e pericolosa della salita.
Dal passo molto lento capisco che Carmela sta soffrendo le pene dell’inferno; facciamo qualche pausa in più.
Mentre addento una pesca vedo in lontananza una macchia marroncina su un pianoro erboso.
Non è una, sono due, tre, quattro.
Una rapida occhiata con il teleobiettivo ed ho la conferma.
Alcuni camosci stavano consumando il loro pasto tenendosi a debita distanza dai bipedi invadenti.
Ancora un piccolo sforzo e saremo alle auto.
Lo sforzo non è proprio piccolo perchè la pendenza è di quelle che non ti da tregua.
Ti azzanna i polpacci, ti martella le dita dei piedi, ti massacra i tendini.
Prima o poi, comunque, termina.
La doccia calda che sognavi mentre la fatica aumentava, si è finalmente materializzata !
Poi, un getto di acqua gelida dal ginocchio in giù resuscita anche i morti.
Forse non lo sai…
ma anche questa settimana sul Monte Baldo è passata ed io non me ne sono quasi accorto.
Come al solito, però, la degna fine di questa vacanza è intorno ad un tavolo di Maso Palù.
Questa sera sospendo la mia dieta e mi permetto, addirittura, due bicchieri di Merlot.
Di fronte a me son sedute Carmela e Serena ed io penso di essere un uomo molto fortunato.
Forse non lo sai…
ma tutto questo è amore.
…..forse non lo sai TVTB….buon cammino grande amico mio!!!!!
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